NEVERMORE

«Disse il corvo: Nevermore!»: mai più... Lugubre e ossessivo, come una sinistra annunciazione, il celebre verso dellÂ’uccello dÂ’ebano di Edgar Allan Poe introduce nel limbo asettico di una sala dÂ’attesa: incolore come una mensa aziendale, gelida come un obitorio. Fra le panche metalliche si aggirano cinque personaggi in abiti da viaggio, spolverini bianchi e beckettiane valigie, simboli e residui di unÂ’esistenza ormai consumata: piene dellÂ’essenziale”, si crede, ma in fin dei conti sempre mancanti di ciò che davvero è necessario. Perchè alla parola fine, per quanto si faccia, non si è mai preparati... È la morte - attesa, temuta, esorcizzata, sbeffeggiata, inutilmente ignorata o accanitamente corteggiata - la protagonista del nuovo lavoro dellÂ’Accademia dei Folli. La compagnia di Carlo Roncaglia, dopo aver affrontato nelle ultime due stagioni lo stile caustico della commedia anglosassone contemporanea con le opere di Anthony Shaffer e Steven Berkoff, accoglie ora la sfida di un testo originale, scritto per lÂ’occasione da due giovani drammaturghi torinesi, Emiliano Poddi e Eric Minetto.
Sulla scorta di solide letture e suggestioni poetiche cha vanno dallÂ’imprescindibile Poe a Giovanni Arpino, da Cesare Pavese a Raymond Carver, passando per Woody Allen e Tobias Wolff e arrivando fino alla poetessa polacca Wislawa Szymborska, Nevermore fa i conti con la rappresentazione della fine e del “dopo”, mettendo in scena, come dichiara il regista, «un aldilà visto dallÂ’al-di-qua, una morte che diviene specchio e lente di ingrandimento della vita, estremizzandone gli istinti, le pulsioni, i desideri. Proprio come fa il teatro». Teatro e vita, teatro e morte stanno così ai due capi del filo rosso che, ormai da qualche anno, percorre il lavoro dellÂ’Accademia dei Folli: un discorso metateatrale che echeggia i capolavori dellÂ’assurdo, nutrendosi di irresistibile humour nero e di un gusto per il grottesco che è diventato la cifra inconfondibile del gruppo.
Come i personaggi di un dramma di Beckett, spaesati e inchiodati allÂ’immobilità di una situazione incomprensibile, stanno dunque i protagonisti di Nevermore: un anziano professore che sistematicamente “evapora”, perdendo il controllo del proprio corpo, e che insegue la morte con la caparbietà di chi vuol sempre avere lÂ’ultima parola; un signorotto abituato agli agi e ai begli oggetti, coltissimo ma in fondo vuoto; una giovane donna sola e insicura, che non si dà pace per aver dimenticato a casa il gatto; un padre di famiglia incapace di concludere alcunché nella vita, e che vorrebbe almeno aver aggiustato la renna a dondolo del figlio. Paralizzati dallÂ’attesa, fermi in un tempo sospeso e scossi da passioni che si alimentano fino al parossismo per poi sgonfiarsi in un nulla, i membri di questo mediocre campionario di umanità tentano continuamente di andarsene, fallendo ogni volta. Il solo che sembra aver capito è un flemmatico, cinico, irritante raisonneur...

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