DALLE VIGNE AI CAMPI DI COTONE

C’è un posto, ben oltre le colline piemontesi, “dove le ombre del tramonto si distendono sulle deserte praterie sconfinate, dove mandrie formicolanti di bufali si spandono per miglia in lungo e in largo, dove i lupi d’inverno latrano per i deserti di neve e di alberi ricoperti di ghiaccioli, dove cresce a perdita d’occhio il giallo fiore del cotone”. I versi sono di Walt Whitman, il poeta cui Pavese ha dedicato la tesi di laurea; il posto che Whitman descrive è naturalmente l’America; il sogno di tutti è andarci. Pavese, com’è noto, non ci riuscì mai; ma in fondo leggere Steinbeck, Melville, Lee Masters, amare questi autori, tradurli o farli conoscere in Italia è stato il suo modo per andarci, in America. Invece il protagonista della nostra storia negli USA non solo ci è stato in carne e ossa, ma ci ha anche fatto fortuna, talmente tanta che adesso, con la maturità, può permettersi di tornare indietro, tra le colline dov’è cresciuto. Ora se ne sta lì tra le vigne, a raccontare la sua avventura americana all’amico d’infanzia. Una storia, la sua, che è allo stesso tempo un viaggio nella provincia americana meno conosciuta e un percorso tra le pagine degli scrittori e i cantautori che l’hanno raccontata. Il Piemonte e l’America, le vigne e i campi di cotone. Ma perché – viene da chiedersi – un uomo che ha fatto fortuna in America decide di tornarsene proprio qui, in Piemonte, tra vigne e risaie? Ripercorrendo le orme di Pavese ne “La luna e i falò”, lo spettacolo prova a dare una risposta.

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