COME UN ROMANZO

"Firs! Ogni volta vuoi essere tu ad aprire il sipario sulla commedia del giorno con quella tua stantia e antipatica battuta: "La signora farà colazione qui?/ E' pronto il caffè" Poi ti infili i guanti bianchi ma che non sono più bianchi perché tu, Firs, da anni ormai non lavi più niente e per favore, non renderti ridicolo con quella tua giacchetta ottocentesca: sembri Ridolini." 

Immaginiamo di trovarci nel giardino dei ciliegi cent'anni (o chissà quando) dopo l'abbandono da parte dei personaggi di Cechov. Il luogo è ora popolato da una comunità diversa, forse "ai margini", un insieme di personaggi che si arrabattano per sopravvivere - venditori di santini, ladruncoli, prostitute... le loro storie si trascinano, si intrecciano; come nel capolavoro cechoviano la loro permanenza in quel posto (ricovero) è minacciata. Tra loro, quasi figura metafisica e a-temporale si muove e parla Firs, il maggiordomo del Giardino dei Ciliegi, le sue battute sono le uniche ad essere esattamente quelle scritte da Cechov. La situazione è ovviamente tutta un'altra. Ma il senso di decadenza e l'abbandono esistenziale permangono.

Cent'anni dopo Cechov, del suo Giardino non è rimasto che un albero, al limite due se contiamo Firs che ormai ha la stessa legnosità di un ciliegio, più o meno. Per il resto sono tutti personaggi nuovi, molto diversi da quelli di Cechov - piuttosto sembrano usciti dalla penna di un Petronio che ha visto tutti i film di Kusturica - ma un colpo di scure tra capo e collo se lo devono essere presa anche loro, come quei ciliegi. Tarantino racconta di un'umanità a pezzi, che però ha ancora una voglia matta di bere vino, fare l'amore, fregarti appena ti giri dall'altra parte. Perché secondo lui siamo fatti così "abbiamo in testa un giardino e nel cuore una selva". (Emiliano Poddi)

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